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Donato Creti (Cremona 1671 - Bologna 1749)

Nato a Cremona da famiglia presto trasferitasi a Bologna, essendosi precocemente rivelato straordinariamente versato per la pittura entrò nella bottega dell’affermato artista Lorenzo Pasinelli, allievo di Simone Cantarini, che lo indirizzò verso il filone classico-idealista della grande pittura bolognese di Guido Reni, Domenichino, Albani.

Il giovane venne notato da un aristocratico bolognese esperto d’arte, il conte Alessandro Fava, che lo ospitò nel suo palazzo (con affreschi dei Carracci considerati una vera e propria scuola) garantendogli un generoso patrocinio, ripagato dal pittore con numerose opere.

Il perfezionismo quasi maniacale e la meticolosità nel procedere, rimarcata da alcuni biografi e confacente a una pittura su cavalletto, non impedirono al Creti di dare buone prove anche in affreschi, di cui si può riconoscere l’esempio più alto nelle volte di tre sale del bolognese palazzo Pepoli Campogrande (terminate nel 1708). 

Nel corso di tutta la sua carriera il pittore fu impegnato in commissioni ecclesiastiche che lo portarono a realizzare numerose pale d’altare per le chiese di Bologna e dintorni, tra le quali eccellono due grandi composizioni (Madonna e s. Ignazio, 1737; Elemosina di S. Carlo Borromeo, 1740) ordinate dall’arcivescovo Lambertini per la cattedrale di S. Pietro.

La raffinata vena artistica del Creti poté esprimersi al meglio nelle opere di soggetto mitologico o pastorale, tanto da meritargli la definizione coniata da Longhi di “Watteau bolognese”, primo pittore di Bologna ai suoi tempi nel genere s’intende idillico e delicatamente immaginoso

Tra i più importanti mecenati su cui il Creti poté contare possono annoverarsi il cardinale Davia di Bologna, il legato cardinal Tommaso  Ruffo (il cui apprezzamento gli valse il titolo prestigioso di Cavaliere dello Speron d’Oro), il conte Luigi Ferdinando Marsili, uno dei principali fautori dell’Accademia Clementina di Bologna.