Giunti a quest’ultima tappa del nostro percorso, siamo portati a concludere che il cinema ci ha restituito bellissime immagini di paradiso proprio attraverso i giardini, là dove si muove la nostalgia degli esseri umani per un mondo perduto. Ecco allora presentarsi opere che inscenano i desideri del ritorno, tra luoghi preservati dalla corruzione del denaro e della civiltà occidentale perché nascosti in sezioni spazio-temporali inaccessibili oppure in luoghi che si configurano come un dono improvviso tanto semplice da raggiungere, quanto insperato.

È un altro eden quello che si spalanca dinanzi ai nostri occhi nella visione del Nuovo mondo di Terrence Malick.

Gli occhi di John Smith, capitano dei marinai inglesi che sbarcano nel nuovo mondo, guardano una natura splendida e intensa in cui si muove un popolo di esseri-gazzella: sono gli indigeni della Virginia, luogo fino a quel momento incontaminato. Gli esploratori inglesi, però, distruggeranno l’equilibrio di questo mondo chiuso in se stesso e armonioso e la fluente natura in cui sono immersi.

La cinepresa è manovrata e condotta in movimenti lenti, ampi, incessanti, che legano con audacia dettagli naturali ad azioni umane, sguardi a gesti emersi dai lunghi fili d’erba dei prati o scolpiti nelle foreste, nelle acque con la purezza di cose viste come attraverso la limpidezza di un lago profondo.

Simbolo di un tale eden, spesso sommerso dal silenzio o reso muto dall’affiorare della musica, è la giovane indiana Pocahontas. Il suo nome è indicibile, come quello di una divinità misteriosa e propizia; non è un’Eva e se lo è, non è lei a corrompere, ma il suo stesso amore per John Smith e soprattutto i coloni invasori il cui primo atto è quello di erigere palizzate, tanto concrete quanto interiori. Il fortino degli inglesi, separando un dentro da un fuori, trasforma la verde, limpida terra in fango, sporcizia e infezione. Pocahontas viene introdotta al suo interno, ‘educata’, imprigionata dentro abiti che ne sacrificano lo splendore aurorale.

Il nuovo mondo è un inno alla terra, un canto dell’anima, una celebrazione dell’acqua, fonte della vita; finché la ripresa non scivola in alto prendendo il volo, come a mani giunte.