Entriamo come protagonisti-spettatori nei giardini inglesi, quelli ideati o ispirati all’opera degli architetti del paesaggio inglese, William Kent (1716-1740) e Capability Brown (1716-1783), in un gusto tipicamente pittoresco: luoghi ideali per passeggiare, conversare, duellare, fare promesse d’amore, allestire feste e declamare trionfi.
I protagonisti vengono accompagnati nei loro spostamenti dalla cinepresa che gioca su una doppia interpretazione e illusione: inseguire un effetto pittorico sul piano bidimensionale e mostrare la finzione di uno spazio architettonico tridimensionale. La regia trova così la soluzione di una teatralità dei giardini che appaiono come quinte e sfondi semoventi.
In Barry Lindon di Stanley Kubrick (MOVIE) le carrellate “sognano” una pittura che ha preso vita.
Si può costruire un sistema di coordinate visive per l’obiettivo, muovendo dall’architettura e dal disegno del giardino che lo circonda: il principio è quello del rapporto, della relazione tra interno ed esterno, secondo una serie ordinata di punti di vista capace di seguire il gioco degli inganni (Don Giovanni di Joseph Losey). La cinepresa arricchisce costantemente il giardino di prospettive architettoniche, moltiplicandone le combinazioni.