La normativa a favore delle persone con disabilità inizia a svilupparsi nei primi decenni del novecento, si struttura subito come “sistema” che procede in modo separato non senza contraddizioni, rispetto all’evoluzione della legislazione sociale di carattere generale.
È soltanto nell’immediato primo dopoguerra che lo Stato per la prima volta interviene con specifici provvedimenti diretti a persone con disabilità. Queste disposizioni riguardano una precisa categoria, gli invalidi e mutilati di guerra. Nei loro confronti sono previsti interventi economici, sanitari e forme di avviamento al lavoro. Queste leggi nascono come “risarcimento” dello Stato al “danno” che queste persone hanno subito partecipando al conflitto bellico. Solo in seguito, con diverse e disarticolate disposizioni legislative, si prevedono benefici (pensioni, assegni di invalidità, cure mediche gratuite) per categorie di persone la cui invalidità non ha origine per cause belliche: sono gli invalidi per cause di servizio, gli invalidi per cause di lavoro, ecc. Contemporaneamente vengono anche previste le prime forme di assistenza ai ciechi e sordomuti.
Verso gli anni Trenta e Quaranta si susseguono provvedimenti rivolti sempre a gruppi di disabili specifici e ben definiti. La caratteristica comune a questa legislazione è caratterizzata dalla monetizzazione della disabilità per rispondere ai bisogni e alle esigenze delle famiglie: l’intervento assistenziale da parte dello Stato è la pensione, cioè l’erogazione periodica di somme di danaro.
La prima normativa nel settore scolastico è improntata alla logica della separazione. Infatti la riforma Gentile del 1923 estende l’istruzione obbligatoria ai ciechi e ai sordomuti che però deve essere impartita nelle classi differenziali.