È quella olandese una comunità orgogliosa dei propri successi, ma anche attraversata dal timore della sua precarietà, una precarietà che perfino l’ambiente, sempre minacciato dalle acque suggeriva. È a questa paura che può essere collegata la ragione delle ordinanze con cui i magistrati delle grandi città, dietro suggerimento degli ispettori per il vagabondaggio, cercarono di regolamentare la rapida schiere di disoccupati, di immigrati dalle campagne, di mendicanti e di malati con mezzi diversi dalle discriminate brutalità tradizionali.
La scritta in caratteri gotici Hester shyt die keye ras - myne name is lubber das (Maestro tira fuori le pietre, il mio nome è sempliciotto) commenta la scena.
Un cerusico incide il capo di un paziente per estrarne le pietre, motivo presunto della pazzia, ma dall’incisione esce un tulipano selvatico. In realtà quel che viene veramente estratto è il denaro dalla borsa del credulone.
Gli storpi e La parabola dei ciechi propongono due scene di vita che dovevano essere abbastanza comuni: gruppi di handicappati che si spostavano mendicando di luogo in luogo. Gli storpi vengono visti dall’alto, una scelta rappresentativa che schiaccia il soggetto, facendolo apparire più fragile, e sono colti nell’atto di separare il loro cammino prendendo direzioni diverse.
I ciechi sono colti nel disorientamento che segue la caduta del compagno che ne apriva la fila, che li fa sbandare ed accalcarsi disordinatamente. Uno di loro volge il suo sguardo vano verso lo spettatore, che ne può così cogliere il panico, dovuto al non comprendere la ragione di quell’instabilità improvvisa.