Alla fine degli anni Ottanta esisteva una legislazione vasta ma settoriale, disorganica, frammentaria e largamente inapplicata. Il quadro normativo era complesso e poco incisivo per migliorare il processo di integrazione delle persone con disabilità. La crescente consapevolezza di questa situazione fa emergere l’esigenza di superare la frammentazione delle leggi in questo settore. I sostenitori di questo progetto si dividono tra due diverse concezioni: alcuni ritengono che la legge debba rispondere all’esigenza di stabilire tutti i diritti delle persone con disabilità e coordinare l’attività legislativa delle regioni; altri sostenevano che i problemi delle persone con disabilità dovevano essere considerati nel contesto della legislazione sociale generale; in quanto rappresentano diritti costituzionali comuni a tutti i cittadini e una normativa specifica potrebbe costituire una discriminazione o una separazione giuridica dei disabili. Nel corso del dibattito prevalse la prima concezione.

Dopo un lungo (quattro legislature) e faticoso iter parlamentare, il Parlamento il 5 Febbraio approva la legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate: la legge 104/92.

Questa, pur non soddisfacendo tutte le attese, apre un nuovo capitolo per l’effettiva integrazione delle persone con disabilità. Questa legge che accoglie le proposte dell’O.M.S del 1980, per la prima volta pone sul piano legislativo la persona nella sua globalità, indipendentemente dallo stato e dal tipo di handicap in cui si trova, con un approccio innovativo che considera la persona con disabilità nel suo sviluppo unitario dalla nascita, alla presenza in famiglia, nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero.

Gli articoli che riguardano la scuola vanno dall’art.12 all’art.16 e l’art 43.

Nei primi cinque articoli citati si propongono i principi fondamentali della integrazione e nell’art.43 si abroga l’art.28 comma 2 della 118/71 relativamente alla esclusione dall’integrazione degli alunni disabili in situazioni di gravità e il comma 3 dello stesso articolo dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla sentenza 215/87 della Corte Costituzionale.

I principi garantiti dalla legge 104/92 possono riassumersi:

  • È garantito il diritto all’educazione e all’istruzione negli asili nido, nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado e nell’università;

  • Si precisa che la finalità dell’integrazione tende alla crescita della personalità dell’alunno in situazione di handicap e dei suoi compagni sotto il profilo degli apprendimenti, della comunicazione, della socializzazione e degli scambi relazionali;

  • Nessuna menomazione o disabilità può essere causa di esclusione dalla frequenza scolastica;

  • La programmazione dell’integrazione si snoda attraverso le seguenti fasi: individuazione dell’alunno in situazione di handicap, la diagnosi funzionale (D.F) poi il profilo dinamico funzionale (P.D.F) e infine il piano educativo individualizzato (P.E.I).

Questi orientamenti sono stati, in seguito, specificati nelle seguenti normative:

D.P.R 24/2/94 reca gli schemi della DF, e del PDF;

D.L 9/7/92 reca i criteri per la stipula degli accordi di programma;

D.M 4/3/93 indica i protocolli per la concessione dell’idoneità alla pratica sportiva delle persone con handicap;

D.P.R 24/2/94 compiti del USL in materia di alunni portatori di handicap;

D.L 30/11/94 Convenzioni per attività inserimento lavorativo per persone con handicap;

D.L 112/98 ridisegna le competenze delle regioni e degli enti locali nei confronti degli istituti scolastici per la realizzazione dell’integrazione scolastica.

Dall’entrata in vigore della 104/92 si è assistito alla lenta, ma significativa crescita degli alunni con disabilità nella scuola di tutti e ad una normativa regionale, che si presenta a scacchiera, cioè completa e avanzata in alcune regioni, carente in altre. Un fenomeno che si riscontra nel quadro legislativo in alcune regioni è la dinamicità e in altre, al contrario, la staticità: in una regione, ad esempio, la normativa migliora in parte o cambia quasi completamente nell’arco di qualche anno, mentre altrove l’assetto legislativo resta pressoché immutato anche per diversi anni.

Un’altra caratteristica è la presenza in diverse regioni non solo di analoghe leggi, ma addirittura di identiche norme. Si verifica che disposizioni promulgate da alcune regioni vengano riprese da altre per quanto concerne la finalità e la tipologia degli interventi. Non mancano leggi regionali nelle quali siano accolti interi articoli di provvedimenti emanati qualche anno prima da altre regioni. Questa prassi non è da considerarsi negativa, ma certamente appare discutibile là dove le disposizioni “estrapolate” vengono accolte senza considerare le variabili socio-culturali, lo stato dei servizi socio-sanitari, i livelli economici e altre condizioni di quella realtà, che ne consentano una completa applicazione. Tutti questi fenomeni, appena accennati, contribuiscono a creare un quadro complessivo della normativa regionale estremamente fluido, mutevole e soggetto a ulteriori cambiamenti. È comunque possibile, analizzando le diverse leggi di ogni regione individuare le principali tendenze comuni e alcuni limiti.

La normativa regionale, nella maggior parte dei casi manifesta caratteri innovativi nei confronti della legislazione nazionale. Molte disposizioni tendono al superamento delle categorizzazioni e prevedono interventi per tutti i cittadini con disabilità. Nelle leggi di diverse regioni, gli interventi previsti non sono settoriali, ma finalizzati a soddisfare varie esigenze (dalla diagnosi precoce, dall’eliminazione delle barriere alla fruizione di strutture per il tempo libero). Diverse normative, inoltre, cercano di integrare disposizioni in vigore a livello nazionale e di superare alcuni limiti di applicazione. È il caso delle norme relative all’inserimento lavorativo emanate da molte regioni (tra le quali Piemonte, Lombardia, Emilia, Veneto, Marche, Sicilia) che prevedono specifiche disposizioni e particolari interventi per l’attuazione di questo diritto. Inoltre non mancano, purtroppo, alcuni quadri legislativi residui del passato e aspetti negativi. Un esempio è offerto dalle normative sul diritto all’uso dei mezzi di trasporto pubblico. In alcune normative si evidenziano una dettagliata divisione in categorie e la richiesta di una serie di requisiti e condizioni necessari, a mio parere, eccessiva.