Già nell’attiva partecipazione al complesso lavoro editoriale da cui scaturì “La Tradotta”, il giornale dell’“invitta Terza Armata”, il sottotenente Antonio Rubino aveva mostrato la sua specificità. Portatore di un segno e di una poetica che erano solo suoi, aderiva però con totale partecipazione al Liberty, all’Art Nouveau, allo Jugend, con una piena autonomia e con la vibrante affermazione di una propria coerentissima poetica. Si comportò con i bambini come si era comportato con i soldati: sapeva descrivere l’Altrove della trincea e le nequizie dei Collegi, ma non rinunciava mai ai riccioli, alle insinuanti volute, alle venefiche distorsioni della sua poetica. Tradurre nella concretezza del mobilio, nella netta verità di un arredo, un’esperienza d’arte così consapevolmente rivendicata, poteva apparire impresa impossibile. Ma occorre però rammentare che Rubino era un artista demiurgo e totalizzante, di quelli che ridisegnano un mondo, senza tener conto di condizionamenti.
Così, per seguire anche nella creazione di un apparato di oggetti, il senso pieno di una proposta grafico-narrativa, era necessario seguire le sue indicazioni. Con la forza inestimabile di uno stile che subì lievi modifiche solo negli ultimi anni di vita dell’artista, Rubino vuole i suoi interni, pretende i suoi lettini, non tollera mescolanze né concentrazioni. Abbandonando la nuova etica dell’“invitta Terza Armata” che lo aveva reso guerriero floreale, Rubino entra in una nuova guerra in cui pretende coerenza. Ecco un autentico miracolo di cui si smarrirà l’essenza. Le testate dei suoi lettini sono narrative non solo perché contengono attori della sua immensa commedia, ma perché il falegname è Quadratino che lavora sotto l’occhio attento della sua Ava che si chiama Geometria.
Antonio Faeti