Ecco una suorina Lenci che ci pone proprio al centro di un universo percettivo dotato di una inflessibile coerenza, un mondo adatto ad attrarci con fascino leggero ma poco propenso a lasciarci andare via. Perché può esistere una “suorina Lenci”? Se si considera la storia partendo dalle origini remote si scopre che la distanza tra la Monaca di Monza e le bamboline Lenci è tale da scompaginare, da spaventare. Là, rigida durezza di linee volute da Francesco Gonin, il primo illustratore manzoniano, qui morbidezza di contorni, rigore nel proporre le ragioni di appartenenza al mondo Lenci.
Accade raramente che qualcuno ridisegni il mondo davvero cambiando le linee, rapporti, proporzioni. I prodotti di Gulliver non esistono: stabilita la distanza assoluta del suo personaggio da ogni creatura delle finzioni, Swift lo riconduce a casa per essere oppresso da una tragedia percettiva, non sopporta più la gente perché ha conosciuto i “Cavalli Sapienti”. Frutto di allegria, mezzo tono, ammiccamenti, le grandi, epocali creature Lenci non sono meno perentorie e solenni di quelle di Swift. Era una sfida che aveva per esito l’eleganza, da ottenersi con la compostezza dello stile: se sono capace di “tradurre” entro i miei contorni proprio tutto, allora è segno che questo stile è davvero rigoroso. La dimensione Lenci non temeva il postmoderno, non paventava i vari progetti tesi a creare mondi uniformi come quelli a cui chi conosce Orwell e Bradbury pensa di frequente. Prima ancora di destrutturarne le componenti, si scopre che la dimensione Lenci non ha accettato molte componenti del Ventesimo Secolo. Lenci, con la sua suorina Lenci, guarda male i caudillos, i generalissimi, i golpisti, i gran protettori.
Ha in mente un altro mondo…
Antonio Faeti