Il mondo reinventato dei giocattoli offre qui la possibilità di una doppia percezione a cui non si deve e non si può rinunciare. Sembra, da un lato, di ascoltare le dissertazioni filosofiche dello Zio Pesce di Italo Calvino, perché qui si ha un corale elogio del legno, del metallo, della vernice a smalto, della gomma. Dopo i variegati deliri di plastica che da tanto scandiscono le nostre giornate, gli antichi materiali della remota officina sembrano rammentarci che la “morale del giocattolo” di Baudelaire è fatta anche di museo, di recupero, di catalogazione, di archiviazione.
Poi, come all'improvviso, guardiamo tutti quei cavalli a dondolo come se davvero fossero “futuristi”, ovvero come se provenissero da un futuro fatto di speranza, d'innovazione, di ricerca, di sorpresa, di attesa. C'è, in questo zoo così vario, il frutto di una ricerca compiuta in molte arti e poi confluita per intero solo qui, a legittimare doppiamente il senso vero dell'arte che è gioco e alchimia. I creatori delle forme hanno tenuto ben presente l'anima arcimboldesca della percezione infantile. Giocano tutti con le forme, presentano cani e cavalli che potrebbero spaventare, non si concedono precauzioni, hanno paura del politicamente corretto.
A quasi tutti si potrebbe riconoscere, fra l'altro, anche la denominazione di “futuristi”, ma allo stesso modo tutti conoscono l'eredità di Bomarzo che di noi è tanta parte. Così la “morale del giocattolo” vuol dire che si deve doppiamente osare, sia godendo del nostro futurismo si sia riscoprendo il nostro Antirinascimento. Forme distrutte, distorsioni volute, perentoria affermazione rinnovata dell’Antigrazioso: con questa rassegna insieme ludica e teratologica si compie un itinerario, in realtà sempre tutto da scoprire.
Antonio Faeti