Il principio della “gulliverizzazione” che governa la creazione di un mondo rimpicciolito per scopi didattici e per finalità pedagogiche è così anticamente reperibile nell'immaginario da avere ispirato a Giovanni Pascoli una splendida poesia. In essa, il poeta di San Mauro, descrivendo la bambola autentica di una ragazzina romana, ritrovata accanto a lei nella tomba, dice quanto il giocattolo sia propedeutico nei confronti di futuri comportamenti e di assunzione di ruoli. Da bambina, anche la monaca di Monza viene fatta giocare con bambole vestite da suore. Non si deve però pensare a norme, a progetti, a identità da conseguire. In realtà, proprio la definizione conseguita nel rimpicciolimento, proprio il dominio che la bambina esercita su questo suo universo assolutamente credibile, creano alternative, spingono a formulare altri progetti, assegnano al gioco il respiro utopico del cambiamento. I raffinati artefici di una miniaturizzazione che ritrova ogni particolare, che esplora gli stili con puntigliosa pazienza, hanno perfino pensato a una seggiolina adatta al corpo della bambina, non a quello della bambola. Sarà così spettatrice, presente davvero, parte in causa, padrona del gioco, piccola dea onnipotente. Molto spesso questi interni sono stati conservati solo così, perché le immagini fotografiche relative a quelli autentici non possiedono la forza evocativa che invece pervade queste ludiche miniature. Riccioli e rifiniture, l'edificio intero pervaso dalla potenza del palazzo nella Via delle Banche, l'audacia innovativa del mogano che si lega al viola, la grazia proprio accentuata dalla "miniaturizzazione". Sembra proprio di vederlo, il reverendo Carroll, mentre prende appunti, lui, poeta dei carpentieri, ammirando i gioielli dei falegnami. Spazi di intensissime rivelazioni, ma anche improvvisi silenzi per l'assenza delle bambine.

 

Antonio Faeti