In greco, verità (ἀλήθεια- alètheia) viene da λανθάνω che significa sono nascosto (il mitologico fiume Lete, ἡ Λήθη, di cui parla per esempio Platone nel X libro de “La Repubblica”, è il fiume dell’oblio) e un α privativo: ἀλήθεια, la verità, è lo stato del non essere nascosto, del non essere dimenticato. Inoltre, Parmenide parla di alètheia nel suo poema “Sulla natura” dove afferma che la via della verità è insegnata al filosofo da Dike, dea della giustizia e che questa via si contrappone ad un’altra via, quella delle false opinioni e dell’ignoranza.
Sapere la verità storica su fatti determinanti del passato è un elemento essenziale per l’identità collettiva di un popolo, la verità è strettamente legata alla sicurezza, conoscere la verità ha una funzione di stabilità sociale e benessere individuale. La verità, storica e giudiziaria, è un diritto dei singoli e delle collettività.
I fenomeni di cui ci occupiamo, depistaggio, false piste, orme confuse, memoria infranta, sono stati frapposti alla conoscenza della verità.
Negli anni Settanta alta era la partecipazione dei cittadini alla vita pubblica, grande l’affluenza al voto numerosi e differenti erano i tipi di mobilitazione introdotti dai movimenti di azione collettiva dei giovani, dei lavoratori, delle donne, dai comitati di quartiere e da innumerevoli esperienze comunitarie che coinvolgevano larghi strati della popolazione.
In quel decennio, fra il 1969 e il 1980, l’Italia ha visto la propria democrazia minacciata da fenomeni di terrorismo di diversa matrice.
Durante questi atti violenti e mentre si svolgevano le indagini che li seguirono si son verificati diversi fenomeni legati al “falso”: i depistaggi, la creazione di false piste, la mancanza di chiarezza; anche la memoria di questi eventi, a volte, ha subito delle deformazioni.