Ustica: l'immaginazione del ricordo
I suoni affiorano come echi di ciò che i passeggeri potrebbero aver percepito nei loro ultimi istanti: l’attesa del viaggio, l’emozione del decollo, le ultime chiacchiere. Poi i tremori improvvisi, le interferenze e il silenzio che si dilata nell’aria, custodito per sempre nella profondità del mare.
Non è una ricostruzione, ma un’evocazione. L’audio non racconta la strage di Ustica: ne sfiora le ombre, ne suggerisce le pause, ne lascia affiorare le domande sospese. Invita chi ascolta a lasciarsi attraversare da una dimensione emotiva che non descrive l’evento, ma lo accompagna, custodendone la memoria in una forma più intima e sottile.
Il corpo melodico della composizione è una reinterpretazione della melodia Chōchin (lanterna in giapponese) del compositore Metei. Alla musica sono stati uniti diversi campioni per rappresentare il decollo e per creare un’esplosione improvvisa nel cielo. Un altro elemento centrale è l’inserimento di voci reali: registrazioni di persone comuni che, idealmente, potrebbero rappresentare i passeggeri dell’aereo di Ustica.
“Intesa come la capacità di rendere presente ciò che assente, l’immaginazione si pone dunque anche come condizione della memoria”[1].
Senza immagini – interiori o reali – non riusciamo a connettere davvero pensiero, emozione e ricordo. È per questo che le opere d’arte diventano punti di riferimento: ci aiutano a trattenere ciò che sappiamo e ciò che continuiamo a scoprire. Quando l’arte incontra una tragedia come la strage di Ustica, non si limita a testimoniare; diventa uno spazio in cui l’immaginazione ci permette di ricordare, interpretare, dare senso. Perché, come suggerisce la frase che guida questo progetto: “Non la bellezza, ma forse l’immaginazione ci salverà. E i musei, tutti i musei, sono splendidi luoghi in cui fare esperienza dell’immaginario.”[2]
Nell’allestire il museo dedicato alla strage di Ustica, Boltanski invita il visitatore proprio a questo: andare in profondità, superare ciò che è visibile. L’intera installazione si fonda su una forte contrapposizione: da un lato il vuoto che domina attorno ai resti dell’aereo; dall’altro gli enormi blocchi neri che sappiamo contenere gli oggetti appartenuti alle vittime, pur senza poterli vedere. Questa tensione spinge chi entra nel museo a immaginare – e quindi ricordare – ciò che si cela all’interno delle casse, riportando alla luce le vite delle vittime, rimaste troppo a lungo nell’ombra.
Da questo intento nasce il nostro percorso espositivo che, ispirandosi alla poetica di Boltanski, cerca di restituire memoria attraverso l’immaginazione. La mostra intreccia due livelli: da una parte le fotografie di repertorio del Museo di Ustica, immagini concrete che portano con sé il peso dell’accaduto; dall’altra una serie di scatti in cui compaiono ombre volutamente enigmatiche. Quelle ombre evocano un’assenza che continua a farsi sentire, e che riempiono zone frequentate quotidianamente da migliaia di persone. Richiamano la lunga zona d’ombra che per anni ha avvolto la tragedia, ma ricordano anche che ogni ombra può esistere solo grazie a una luce. Sono metafora del ricordo: ciò che resta, ciò che continua a proiettarsi sul presente pur provenendo dal passato. Un invito a ricercarle sempre, per non dimenticarle.
La memoria di Ustica, però, non vive solo attraverso l’arte. Continua a esistere soprattutto grazie all’impegno tenace dei familiari delle vittime, alla loro lotta civile che da decenni chiede verità, custodisce il ricordo e mantiene vivo un dialogo pubblico necessario. La loro presenza è parte integrante della storia, e alimenta una memoria collettiva che nessuno è riuscito a mettere a tacere. Per questo la sezione video della mostra è dedicata proprio al loro impegno quotidiano: una raccolta di testimonianze – disponibili sul sito da loro gestito, https://associazioneparentiustica.it/ – che permette al visitatore di ascoltare la voce di chi ha davvero vissuto la perdita. Solo attraverso questo sguardo diretto è possibile comprendere fino in fondo il peso di quelle ombre e riportarle alla luce, immedesimandosi.
Marini Clarelli Maria Vittoria, 2017, Pezzi da museo. Perché alcuni oggetti durano per sempre, Carocci Editore, Roma.
Balboni Brizza Maria Teresa, 2006, Immaginare il museo. Riflessioni sulla didattica e il pubblico, Editoriale Jaca Book SpA, Milano.
Milena Pia Auleta
Amalia Luna Logiudice
Laura Catte
Autore audio: Lorenzo Nicoletti
Foto di: Amalia Luna Logiudice, Laura Catte
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